ORIGINALE O FOTOCOPIA?
In considerazione della recente proclamazione a beato del giovane Carlo Acutis “riscopriamo” un libro scritto qualche anno fa il cui titolo prende spunto da quella che forse è una delle frasi sue frasi più note: “Tutti nascono come originali, molti muoiono come fotocopie”. Il volume si intitola infatti, in modo più perentorio “SEI NATO ORIGINALE, NON VIVERE DA FOTOCOPIA“.
“SEI NATO ORIGINALE, NON VIVERE DA FOTOCOPIA” scritto da Cecilia Galatolo non è una biografia ma è un romanzo che tratta la storia di Francesco, un ragazzo di venti anni che, nel bel mezzo di una sua profonda crisi incontra la figura di Carlo Acutis e scopre che nella vita si può cercare davvero qualcosa di bello, si può trovare la felicità e la felicità è in Dio.
LEGGI UN ESTRATTO:
Non so se vi siete mai chiesti che senso abbia la vita.
Io, personalmente, sono scappato da questa domanda per parecchio tempo e avrei continuato a farlo, se non fosse successo qualcosa che mi ha Obbligato a guardarla in faccia e a cercare una risposta.
Fino a poco tempo fa credevo che ci trovassimo al mondo per puro caso e che non era poi così importante dare una direzione alla propria esistenza.
Polvere ero e polvere sarei tornato, no? Lo dicevano loro, i cattolici, figuriamoci quello che potevo pensare io a riguardo, che di cattolico non avevo neppure la punta dei capelli.
Per me non c’era nessuna anima dentro di noi e non c’era alcun Dio a cui andare incontro, né qui né dopo la morte.
Non avevo mai fatto chissà quali ragionamenti su Dio: non lo vedevo e non lo sentivo, questo era sufficiente per farmi un’opinione su di Lui.
Probabilmente chi diceva di vederlo o sentirlo ne aveva bisogno, perciò si immaginava che fosse così. Per me, noi uomini eravamo solo degli animali, forse più intelligenti degli altri (o forse no…) e nessuno ci aveva voluti, se non delle impersonali leggi della natura.
Mi sembrava sciocco pensare che eravamo parte di un piano divino e mi sembrava sciocco pretendere che l’uomo facesse chissà cosa di diverso dagli animali. D’altronde, in un Universo sconfinato, vecchio miliardi di anni, che esisteva da prima che nascessimo, che sarebbe esistito dopo di noi e soprattutto che sarebbe esistito con o senza di noi, a chi poteva interessare seriamente della nostra vita, delle nostre scelte, delle nostre azioni? A nessuno poteva importare cosa avrei deciso di fare nel breve lasso di tempo che avevo a mia disposizione. E comunque, non importava a me, visto che sarei finito nell’oblio, come tutto e come tutti, prima o poi.
A che pro, quindi, farsi domande sulla vita o sul senso delle cose che ci accadono? A che pro consumare energie su energie chiedendosi ciò che sia più giusto fare? Mi sembravano ingenue quelle persone che sentivano di dover compiere una qualche “missione” e che magari volevano cambiare il mondo: erano, a mio avviso, semplicemente megalomani.
Io lasciavo volentieri la megalomania a loro e ai supereroi dei film o dei cartoni animati. Preferivo godermi la vita come meglio potevo, senza pensare o angosciarmi troppo.
Non voglio essere ipocrita, quindi vi dirò la verità: non credevo nell’amore, non credevo avesse senso sacrificarsi per qualcuno, né tantomeno mi sembrava intelligente difendere fino alla morte un ideale.
E l’altruismo? Lo ritenevo un modo come un altro per fare del bene a se stessi. Pensavo che ciascuno di noi, in fondo, era egoista e, istintivamente – non per cattiveria – si interessava solo a se stesso. Fare del bene agli altri, alla fine, serviva a sentirsi utili e a costruire un’immagine positiva di sé.
Non credevo nell’amore disinteressato, ecco. Ero dell’idea che, invece, coerentemente con la propria natura, ognuno dovesse cercare
sostanzialmente il suo benessere: non vedevo nulla di male o di strano in questo.
Intendiamoci, ero una persona civile… più o meno. Quanto bastava per pensare che avevo dei doveri verso gli altri, verso la società… e sapevo che la mia libertà finiva dove iniziava quella dell’altro. Ma non avevo relazioni vere, autentiche… fondamentalmente mi preoccupavo di quello che mi faceva più comodo e di quello che mi piaceva fare.
Una delle mie ragioni di vita era il calcio. Anzi, direi che era forse l’unica cosa che mi appassionava sul serio.
E ancora mi viene da sorridere se penso che è stata proprio la mia passione per il calcio a porre le condizioni per la svolta più grande e significativa della mia esistenza. Il calcio è stato solo un pretesto, però. Il cambiamento lo devo a delle persone speciali, che hanno saputo lasciare un segno forte, indelebile nella mia vita, nonostante inizialmente io fossi molto restio e scontroso nei loro confronti.
Ebbene, le loro storie, le parole e i loro sorrisi mi hanno obbligato a chiedermi se fossi felice con il mio egoismo, con la mia indifferenza, col mio opportunismo, con la mia presunzione.
Io evitavo quella domanda con tutte le mie forze, perché mi faceva un male tremendo. Poi, però, mi sono arreso. Oggi sono grato a quel dolore, perché mi ha obbligato a prendere consapevolezza del fatto che qualcosa non andava e ad agire di conseguenza. Ho deciso di raccontarvi la mia storia perché vorrei che anche voi vi chiedeste se siete felici della vostra vita.
Non spaventatevi se è una domanda che vi fa male e non spaventatevi se pensate di non esserlo. Perché una soluzione c’è, una strada c’è… per tutti. È un po’ nascosta e faticosa, ma una volta trovata, tutti la possono percorrere.
Come si trova? Non esiste una ricetta, non esiste una formula magica… ma c’è qualcosa che ognuno di noi può fare. Io ho seguito il semplice consiglio di un amico, consiglio che con questa storia vorrei lasciare a voi:
“spostare lo sguardo dal basso verso l’altro” (Carlo Acutis).