CRISI DEL TEMPO

A Maggio del 2018, sul mensile Vita Pastorale, era uscito un interessante articolo del priore di Bose Luciano Manicardi, dal titolo «TEMPO DI CRISI O CRISI DEL TEMPO?» che l’attuale situazione di crisi mi ha spinto a recuperare.

Inutile dire che la sua lettura a distanza di due anni potrebbe risultare quasi profetica perché l’autore metteva in guardia i suoi lettori dalla crisi che il fattore tempo portava con sé e che oggi, complice la quarantena forzata (con l’impossibilità per molte persone di non recarsi al lavoro e per la totalità di non avere più momenti di svago) ci si sta rivelando in maniera preponderante.

Manicardi chiama in causa l’ormai tristemente nota società dei consumi che «rende il mondo autosufficiente» e nella quale «il presente è ormai diventato egemonico» ma al contempo osserva che «il futuro, forse, non è così lontano da noi» a patto che si osi «l’avventura della vita interiore, della conoscenza di sé.» In questi giorni, siamo proprio in questa fase in cui possiamo trovare, seppure in maniera “forzata”, l’apertura verso la strada salvifica proposta dal priore di Bose. Siamo in casa con del tempo a disposizione, liberi da quella che nell’articolo viene definita «accelerazione tecnica e del ritmo di vita» che fino a ieri ci ha spinto a pronunciare il ritornello quotidiano “non ho tempo”.

Oggi il tempo lo abbiamo, ma rischiamo di restarne vittime se non ne scopriamo il suo lato amicale: l’otium. Come spiega quindi l’articolo, «La parola negotium (“occupazione”) nega l’otium (nec-otium). Il negotium è l’attività, il fare, ma esso è negazione del lavoro più degno che è l’attività spirituale. L’ozio, nel senso dell’otium antico, non è allora il padre dei vizi, ma della creatività. Così inteso, non è spreco del tempo, ma è l’uso sensato e nobile del tempo. L’otium è attività personale, intellettuale, contemplativa, rapporto intenso con sé e con la realtà. Non è pigrizia, ma lavoro interiore, costruzione del saldo fondamento su cui si può reggere una vita.

Otium significa ritrovare e abitare il tempo. E ricordarsi che c’è una fecondità legata al non lavorare, al non fare, come nella parabola evangelica del seme che spunta da solo e che cresce, matura e porta frutto grazie sì al tempo del fare, ma anche a quello del non fare, dell’attesa, dell’assecondare i tempi della crescita (cf Mc 4,26-29).

Approfittiamo dunque di questo periodo di crisi per trasformarlo in grazia, con la consapevolezza che, come ci ricorda il priore di Bose, abbiamo un’occasione unica per costruire un saldo fondamento su cui reggere la nostra vita.

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