Perdono di Assisi #2

Tre riflessioni, una per ogni giorno, per un piccolo triduo in preparazione al “Perdono di Assisi” del 2 Agosto.

San Francesco, con la sua vita ci ha mostrato come l’uomo e la donna devono porsi alla sequela di Gesù Cristo e come rapportarsi al Padre. Per queste tre brevi riflessioni in preparazione alla festività del perdono che ogni anno cade il 2 agosto, ho estratto altrettante “azioni” compiute dal santo di Assisi:

1 – PREDICARE AI FIORI

2 – USARE PAROLE CHE E’ MEGLIO NON RIFERIRE

3 – INCOMINCIARE, SEMPRE E DI NUOVO.

La seconda azione che ho individuato è “usare parole che è meglio non riferire”. Di cosa si tratta? Partiamo citando un breve brano tratto dalla Vita seconda di Tommaso da Celano:

… ma questi (San Francesco) lo riprese con estrema durezza, con parole che qui non posso riferire.

Quando ho letto questa frase mi è subito tornato in mente un famosissimo aforisma del grande Marcello Marchesi che recita: «Anche le formiche nel loro piccolo s’incazzano».

Cosa dobbiamo pensare? Che anche il poverello di Assisi ogni tanto perdeva le staffe? Beh, potrebbe essere interessante soffermarci anche su questa cosa, all’apparenza di poco conto. Francesco è un uomo come noi; è riuscito ad accogliere in maniera così piena l’Amore di dio da diventare quasi un “secondo” Gesù Cristo; lo si definisce infatti l’alter christus. E’ l’esempio, reale, vivente, in carne ed ossa di come lo Spirito che alberga in noi, se solo gli facciamo posto, riesca a fare cose grandi.

Ma il fatto che un così grande santo, il più grande di tutti, se è concesso stilare una classifica, in certe occasioni, abbia utilizzato «parole che qui non posso riferire» lo colloca, a mio avviso, tra i santi indicati dall’altro Francesco, il nostro papa, che nella sua esortazione apostolica “Gaudete et exsultate” crea la categoria dei “santi della porta accanto“.

Il pontefice, parlando di santità, ci fa capire che i santi non sono persone particolari, dotate di super poteri, con un tipo di vita diverso dalla nostra, nati con il piedistallo sotto ai piedi e l’aureola sulla testa. Francesco ci dice che la storia è piena di «avvenimenti decisivi […] essenzialmente influenzati da anime delle quali nulla viene detto nei libri».

Il nostro compito di cristiani, davanti a figure come San Francesco, non è, dice sempre il papa, cercare di copiarle, ma prenderle come stimolo e motivazione affinché «ciascun credente discerna la propria strada e faccia emergere il meglio di sé, quanto di così personale Dio ha posto in lui e non che si esaurisca cercando di imitare qualcosa che non è stato pensato per lui.»

Al tempo stesso, scoprire che anche il santo di Assisi, “alzava la voce”, mi fa innamorare ancora di più della sua figura perché è la dimostrazione che il cammino di santità è un percorso accessibile a tutti noi che viviamo giornalmente incastrati tra orari da rispettare, scadenze, impegni di lavoro, di studio, esigenze familiari, stanchezza, delusione e che proviamo a seguire l’insegnamento evangelico, ma ogni tanto ci sfugge di mano. Questa sottolineatura che viene riportata da una delle biografie di San Francesco è quello che fa per noi, donne e uomini (sbandate/i) del XXI secolo, e che assieme alle parole del papa ci devono incoraggiare nel nostro impegno di fede quotidiano: «Non tutto quello che dice un santo è pienamente fedele al Vangelo, non tutto quello che fa è autentico e perfetto. Ciò che bisogna contemplare è l’insieme della sua vita, il suo intero cammino di santificazione, quella figura che riflette qualcosa di Gesù Cristo e che emerge quando si riesce a comporre il senso della totalità della sua persona».

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