LA SPERANZA NON E’ MORTA

PAROLE DI FEDE IN TEMPO DI CRISI

LUIGI MARIA EPICOCO IN DIALOGO CON SAVERIO GAETA

Per comprendere quanto sta accadendo in momenti di crisi personale e sociale, occorre fare i conti con il mistero del male e del dolore innocente. Ma per affrontare e superare la pandemia e le sue conseguenze è necessario uno sguardo che giudichi adeguatamente i segni dei tempi e li interpreti nell’orizzonte della speranza cristiana. È quanto propongono in questi fitti dialoghi don Luigi Maria Epicoco, il più apprezzato autore di spiritualità degli ultimi anni, e lo scrittore Saverio Gaeta, noto per i suoi approfondimenti sulla mistica e sulle manifestazioni mariane. Senza negare nessuna delle grandi domande che credenti e non credenti si sono poste in questi mesi, Epicoco e Gaeta affrontano temi come quello del male innocente, delle rivelazioni e dei segreti, della fine dei tempi, della
speranza cristiana; ma anche temi caldi come la partecipazione all’Eucaristia, il senso dell’eroismo quotidiano, il valore della fede e della preghiera, il significato della comunità e della modernità. Ne scaturisce una prospettiva di fede che offre spiragli di luce nell’apparente buio dei nostri giorni, un faro per quanti già vivono l’esperienza cristiana, ma anche una sfida in positivo per quanti ancora ne sono lontani.

DAL PRIMO CAPITOLO DEL LIBRO:

Caro don Luigi Maria, è inutile girarci attorno e nasconderci dietro un dito, se vogliamo realmente cercare in qualche modo di essere utili ai nostri lettori. Per offrire parole di speranza e di fede dobbiamo innanzitutto fare i conti con la realtà e riconoscere che, in una manciata di mesi, il mondo che conoscevamo è stato messo sottosopra. È bastato un infinitesimale virus per sconvolgere l’economia e la vita sociale in ogni continente. Miliardi di persone si sono contemporaneamente interrogate – e forse molte per la prima volta nella loro esistenza – sul significato della sofferenza e sul senso di questa pesantissima prova. E quanti seguono i messaggi di Medjugorje sono rimasti colpiti dal messaggio alla veggente Marija del 25 marzo 2020, nel pieno della diffusione del contagio, in cui la Regina della Pace ha affermato a chiare lettere: «Satana regna e desidera distruggere le vostre vite e il pianeta sul quale camminate».
È curioso, d’altra parte, come la parola “pandemia”, che intende significare l’epidemia a livello mondiale, suoni così simile a “pandemonio”, il termine coniato a metà Seicento dal poeta inglese John Milton per indicare l’immaginaria capitale dell’inferno, descritta nel suo poema Paradiso perduto, che ha per tema la tentazione di Adamo ed Eva a opera del serpente diabolico e la loro cacciata dal giardino dell’Eden. Abbiamo titolato questi dialoghi La speranza non è morta: ma, per dare ragione del nostro convincimento, dobbiamo innanzitutto partire da una chiarezza di fondo sul mistero del male, senza nasconderci dietro al paravento dell’imperscrutabile volontà o permissione divina. Dunque, quale disegno possiamo intravedere in ciò che è accaduto, che in tanti ha provocato la sensazione di essere avvolti da un buio totale, impossibile da squarciare con il solo raggio della ragione umana?

Caro Saverio, certamente in molte persone la sofferenza attuale – che, pur se il contagio, fra alti e bassi, si sta riducendo, continuerà a lungo ad abitare il cuore degli uomini del nostro tempo, anche per i rischi di una seconda ondata, come ipotizzano gli scienziati – ha suscitato una pressante domanda sul senso di quanto stiamo vivendo. È però anche vero che la quantità di problemi che sta attanagliando soprattutto i più disagiati (non intendo unicamente sotto l’aspetto economico: penso ai bambini e agli anziani, a quanti si trovano a vivere in situazioni ambientali e sociali drammatiche, ai perseguitati per cause religiose e politiche), unita all’incertezza sull’immediato futuro, mantiene tanti altri in uno stato di sospensione nel dolore, che impedisce perfino una pausa per sostare e riflettere.
Quello che perciò, a mente fredda, mi preme porre in primo piano è che la sorpresa più sconvolgente di questa malattia è l’averci posti in maniera traumatica di fronte alla possibilità della morte, idea ormai rimossa costantemente, sia a livello personale sia a livello sociale. La cultura capitalista e materialista, costruita attorno alla finanza e ai consumi, piuttosto che attorno alle persone, è ideologicamente finalizzata proprio a rimuovere l’idea della morte. E invece questo virus, grande appena un decimillesimo di millimetro, ha rappresentato un’improvvisa e drammatica “livella”. Quando pensiamo alla sofferenza, infatti, la immaginiamo sempre correlata agli altri e, soprattutto in ambito sanitario, ci illudiamo che almeno l’essere benestanti e in buona salute possa farci scampare al pericolo. In questo caso, invece, ricchi e poveri, giovani e vecchi, siamo
stati tutti contagiati, se non dal Covid-19, dal virus della paura, che ci ha fatto guardare all’altro come a un possibile untore. Si è fatta realtà possibile e ingovernabile l’immagine proposta da Gesù nel Vangelo: «Non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa» (Matteo 24,42-43).
Il tempo successivo all’emergenza della pandemia rappresenterà, perciò, una concreta opportunità per elaborare, oppure no, la sofferenza che questo trauma ci ha portato. Ma non è scontato che vivere una situazione drammatica ci porti automaticamente a comprenderne il senso: la sofferenza, infatti, la si può anche soltanto subire, la si può nascondere perfino a se stessi, si può apparentemente andare avanti come se nulla fosse, in quanto semplicemente non si ha una risposta di fronte a questo enorme interrogativo. Allora può venirci utile la Bibbia con il libro di Giobbe, che nell’immaginario collettivo suscita il banale ricordo di un uomo remissivo e quasi indifferente a quanto gli accade. Quell’intenso racconto esplicita, invece, a chiare lettere il mistero del dolore innocente, il prorompere del male nella vita di un uomo che, sebbene non abbia fatto nulla, si ritrova tutto contro e perde proprietà, figli, salute… Al termine della lettura, ci rendiamo conto di non aver ricevuto una risposta ultima e definitiva, che getti luce davvero sul mistero del male e della sofferenza, bensì di essere divenuti consapevoli che questo mistero manifesta la possibilità che Dio ponga una domanda a ciascuno di noi. Non a caso sto ripetendo più volte la parola “mistero”. Per quanto noi cerchiamo di razionalizzare, di elaborare una spiegazione, quello del dolore e del male rimane innanzitutto un mistero, cioè qualcosa che sfugge alla nostra mente e al nostro tentativo di addomesticarlo mediante concetti. Questa è l’esperienza vera che l’uomo fa, nello scoprire il proprio essere: quella di essere una creatura che deve anche soggiacere a regole, che deve accettare di trovarsi costantemente di fronte a qualcosa che lo supera, che è più grande di lui. Per sfuggire a questa domanda, si adottano due tattiche. La prima, la più semplice, è quella di non porsi affatto la domanda, facendo finta di nulla. L’altra è il rispondere troppo velocemente, dando come risposta frasi del tipo: Dio ce l’ha con noi, ci sta castigando, non ci ama, fino a giungere a dire che un Creatore non esiste, che nessun Essere supremo ha a che fare con la nostra realtà. Entrambi questi atteggiamenti sono troppo veloci e banali per poter davvero affrontare una questione che nel fondo dell’animo percepiamo in ogni caso come ineludibile. Perciò la mia sfida è a interrogarci in profondità, trovando il coraggio per chiederci se, in quello che ci sta accadendo, ci sia un male superficiale ed esteriore, che ha a che fare unicamente con il corso naturale delle cose, oppure un male molto più profondo. Per essere diretti e concreti: può entrarci Satana in tutta questa vicenda? Lo dico a scanso di equivoci, non cadiamo ingenuamente nel pensare al demonio semplicemente come un capro espiatorio al quale dare la colpa di tutto. Dobbiamo invece fare nostra la consapevolezza che il male è una realtà viva, operante, efficiente, che può agire contro l’uomo attaccandolo nelle più diverse condizioni di vita. Nel contempo, dobbiamo mettere in luce il positivo presente anche in tali circostanze: il male può farci del male, però non può toglierci la cosa più essenziale e radicale che ci ha ottenuto Gesù sulla Croce: la libertà. Noi fondamentalmente siamo liberi anche di fronte ai condizionamenti del male. Oggi si chiama Coronavirus, ma nella vita di una persona possono avvenire cose ancor più tragiche, dalla morte di un figlio, a un incidente invalidante, a una malattia inguaribile. La mia non intende essere un’affermazione consolatoria ma, di fronte a ogni situazione di male oggettivo, ognuno di noi deve ricordarsi che – per i meriti della passione-morte-risurrezione di Cristo – resta sempre radicalmente libero dinanzi a quel dolore e a quella sofferenza.

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