Il libro che tutti i parrocchiani dovrebbero regalare ai loro parroci
Gli esperti di marketing (come giustamente ci suggerisce l’autore) hanno così sottotitolato il libro “PARROCI” del noto teologo Paolo Curtaz edito da San Paolo.
“PARROCI” è un volumetto di neanche 200 pagine dedicato appunto ai presbiteri che, nelle nostre parrocchie, si trovano a vivere un momento di cambiamento, di incomprensione, di difficoltà, di smarrimento e di tristezza.
Paolo Curtaz nella presentazione, intitolata “come in confessione” inizia così:
Caro amico prete, fratello presbitero,
se hai in mano questo libro è perché, molto probabilmente, un tuo parrocchiano o un tuo amico te lo ha regalato, forse perché incuriositi dal sottotitolo (bravi quelli del marketing). O perché, sfogliando il testo in libreria, hanno sorriso o sono rimasti colpiti da qualche passaggio letto di straforo. O forse perché pensano che tu ne abbia bisogno, avendoti visto stanco e demotivato, ultimamente.
Perché ci tengono al tuo percorso interiore. E alla tua felicità. Quello che è certo è che lo hanno fatto perché ti vogliono bene e perché pensano che ti possa fare del bene.
Altri fratelli laici mi hanno confidato che avrebbero voluto regalarlo al loro parroco ma non hanno osato, immaginando la sua reazione interiore stizzita (“questo libro a me? Ma io sto benissimo e vado benissimo”), anche se nascosta dietro a un sorriso di circostanza.
O forse lo hai comprato tu, perché hai già letto qualcosa del Curtaz (graaaazie) o perché ti ha attirato e sei uno dei pochi preti rimasti che leggono (non scherzo affatto) e che frequentano le librerie cattoliche (che stanno tutte chiudendo, perché non solo i preti ma nemmeno i laici leggono più).
Bene.
Allora adesso provo a convincerti ad andare avanti.
Perché nel prossimo paragrafo si deciderà il destino di questo libro: da leggere e meditare o ennesimo testo da far approdare nel cimitero dei libri, la libreria dietro la scrivania.
Ci provo.
Dicendoti cosa mi ha spinto a scrivere questo saggio pastorale.
Uno: il primato alla felicità
Metto le carte in tavola, patti chiari, amicizia lunga. Io penso che sia meglio essere felici che tristi.
Questa massima la applico a tutti, a partire da me, con risultati alterni.
Sono assolutamente certo che Dio (quello di Gesù, non il mostriciattolo che portiamo nel cuore) ci voglia felici. E che ci abbia anche dato una serie di indicazioni per aiutarci a essere felici.
E penso che, fra gli esseri umani, i discepoli di Gesù siano quelli che hanno maggiore possibilità di essere felici. E, fra questi, i fratelli e le sorelle che hanno consacrato la vita all’annuncio del Vangelo.
Quindi anche tu.
Mi dirai: ma io sono felice!
Ne sono certo. E ne sono sinceramente felice (scusa il bisticcio). Ma, accanto a te, ho incontrato centinaia di preti (e anche qualche vescovo), che alternano la felicità a momenti di scoraggiamento, di depressione, di vittimismo, di rabbia repressa, di fatica pastorale che sembrano insormontabili. E allora soffrono. E fanno soffrire.
Un po’ troppo, a essere sinceri.
Così ho provato a mettere nero su bianco alcune cose che, in confidenza, ho condiviso in questi anni di conferenze, di incontri, di ritiri in giro per l’Italia e per l’Europa.
Ecco la mia finalità: aiutarti a riprendere in mano la strada verso la felicità (Sal 1,2).
Perché un prete stressato stressa gli altri.
Due: pochi lavorano
La seconda ragione per cui ho accettato (con moltissima riluttanza) di scrivere un libro sui preti nasce da una frase che ho ascoltato mille volte ma che ho capito solo recentemente. Un testo che conosci benissimo:
La messe è molta, ma gli operai sono pochi (Lc 10,2)
Gesù non sta parlando di preti, ovviamente, ma di discepoli inviati a tutte le nazioni conosciute avanti a sé, per preparare la sua venuta. Se questa pagina è rivolta a tutti i discepoli per estensione, possiamo farne anche una lettura sacerdotale.
Mi piace però tradurre il brano in un modo un po’ birichino (forzando un po’ il testo, sinceramente, chiedo venia agli esegeti):
La messe è molta, ma pochi vi lavorano.
Pochi nel senso che sono pochi numericamente. Ma pochi anche nel senso che fanno poco. O non fanno quello che potrebbero e, alla fine della fiera, vivono nel loro piccolo mondo autoreferenziale senza avere contatto con la realtà.
Cioè non fanno ciò che il Signore ha chiesto loro.
Esagero? Volesse Dio!
Sapessi quanti laici incontro addolorati (sinceramente addolorati) nel vedere i propri pastori chiusi nelle canoniche, impermeabili a ogni cambiamento, irrisolti, problematici…
E non sto parlando di laici che compaiono solo per la festa del patrono, ma di quei tanti laici che, a partire dal Concilio, hanno fatto crescere in loro stessi un sincero desiderio di essere protagonisti dell’annuncio!
Detto fra noi: basta ascoltare dall’esterno una riunione fra preti. Talvolta sono occasioni di formazione, di affetto, di incoraggiamento. Ma, molto più spesso, sono occasioni di lamentela, di rivendicazioni, di frustrazione, di pettegolezzo…
Conosco molti fratelli preti (magari lo sei anche tu) che, alla fine, tristemente, scelgono di parteciparvi in apnea, obtorto collo o, peggio, di gettare la spugna.
Sul serio nel presbiterio, fra i tuoi confratelli, hai persone disposte ad ascoltarti, a sostenerti, ad accompagnarti? Spero proprio di sì.
Se sei fra quelli che vogliono lavorare per il Regno, che prendono sul serio l’invito del Maestro, che credono a questo sogno di una Chiesa, profezia di un’umanità redenta (oggi si direbbe risolta), se vivi con disagio questo clima apocalittico che si respira in certe diocesi, in certe parrocchie, allora sei nel posto giusto. E stai leggendo il libro che fa per te.
Tre: deponi le armi
Ho scoperto una cosa che ti sembrerà banale: perché un libro ti possa davvero aprire la mente e il cuore, ti possa suggerire qualcosa, devi deporre le armi.
I pregiudizi, i preconcetti, le precomprensioni, le cose che credi di conoscere e di sapere. Perché, sia chiaro, e sono sincero: questo libro avresti potuto scriverlo tu, e lo avresti pure scritto meglio.
Ma se vogliamo che lo Spirito ci raggiunga anche attraverso un testo scritto dal principe dei somari quale sono, bisogna lasciare la porta socchiusa.
Se è già difficile parlare di Cristo ai cristiani, perché sanno già tutto, immagina di farlo con i preti!
Succede anche a me: devo davvero staccare la mente quando, durante l’eucarestia festiva, ascolto (o tento di ascoltare) l’omelia di un prete. Altrimenti comincio a dire: avrebbe dovuto dire… questa cosa non è corretta… che c’entra…
E così mi perdo quello che lo Spirito, attraverso le povere parole di un prete, sta tentando di comunicarmi.
Ne sai più di me, certo.
E non sarai d’accordo su molte delle cose che scrivo, ci mancherebbe!
Ma deponi le armi.
E non fare come quelli che, alle mie conferenze, arrivano entusiasti a dirmi: avrebbe dovuto venire il mio parroco/marito/fratello ad ascoltarti!
Ascolta tu, se vuoi.
Queste parole sono rivolte a te, come in un confessionale.
Quattro: un unico Pastore
Il libro che hai in mano non è un trattato di teologia. E nemmeno un testo di pastorale biblica. O di teologia pastorale. O di storia della spiritualità. O di soluzioni.
È una riflessione a voce alta, che raccoglie ed elabora il frutto di tanti incontri, confronti, discussioni.
Ma anche di tanta (intensa e feconda) esperienza personale.
Quindi do per scontato quello che sai, quello che c’è prima, i fondamenti teologici e spirituali del sacerdozio.
C’è un unico sacerdote, un unico Pastore: il Signore Gesù, mediatore fra Dio e gli uomini (1Tm 2,5; Eb 10,14). E tutti partecipiamo del sacerdozio battesimale. Ma, come la riflessione cattolica ha elaborato lungo i secoli, all’interno della comunità ci sono diversi ministeri e, fra questi, quello dei presbiteri, dei diaconi, degli episcopi (1Cor 12–14). Sono doni, carismi, che Dio dona alla sua comunità per la crescita vicendevole.
Insomma, se proprio ti va, dai una ripassata ai fondamenti del Sacramento dell’Ordine sacro (CCC 1536; LG 10; PO 2).
Sei maestro in Israele su queste cose.
Ma, dentro la teologia, ci sei tu.
E non stiamo per fare salotto. Né imbastiamo una disputa teologico-pastorale a colpi di fioretto e di citazioni. Vogliamo (tu e io) lasciarci mettere in discussione da qualcuno che, ne sono assolutamente certo, ci vuole bene. Tanto.
Il Signore Gesù.
Se sei arrivato fino a qui, probabilmente ti ho convinto ad andare avanti.
Allacciarsi le cinture.