Veglie funebri o banchetti di nozze?

Le nostre liturgie sono sempre meno frequentate.
Perché cala costantemente il numero delle persone che si recano a messa? Credo che le risposte già le conosciamo e che semplicemente facciamo finta che tutto vada bene.
Invece, siamo chiamati a prendere atto di questa situazione e ascoltare cosa ci suggerisce il Vangelo.

𝐼𝑛 𝑞𝑢𝑒𝑙 𝑡𝑒𝑚𝑝𝑜, 𝑔𝑙𝑖 𝑠𝑐𝑟𝑖𝑏𝑖 𝑒 𝑖 𝑓𝑎𝑟𝑖𝑠𝑒𝑖 𝑑𝑖𝑠𝑠𝑒𝑟𝑜 𝑎 𝐺𝑒𝑠𝑢̀: «𝐼 𝑑𝑖𝑠𝑐𝑒𝑝𝑜𝑙𝑖 𝑑𝑖 𝐺𝑖𝑜𝑣𝑎𝑛𝑛𝑖 𝑑𝑖𝑔𝑖𝑢𝑛𝑎𝑛𝑜 𝑠𝑝𝑒𝑠𝑠𝑜 𝑒 𝑓𝑎𝑛𝑛𝑜 𝑜𝑟𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑖; 𝑐𝑜𝑠𝑖̀ 𝑝𝑢𝑟𝑒 𝑖 𝑑𝑖𝑠𝑐𝑒𝑝𝑜𝑙𝑖 𝑑𝑒𝑖 𝑓𝑎𝑟𝑖𝑠𝑒𝑖; 𝑖𝑛𝑣𝑒𝑐𝑒 𝑖 𝑡𝑢𝑜𝑖 𝑚𝑎𝑛𝑔𝑖𝑎𝑛𝑜 𝑒 𝑏𝑒𝑣𝑜𝑛𝑜!». 𝐺𝑒𝑠𝑢̀ 𝑟𝑖𝑠𝑝𝑜𝑠𝑒: «𝑃𝑜𝑡𝑒𝑡𝑒 𝑓𝑎𝑟 𝑑𝑖𝑔𝑖𝑢𝑛𝑎𝑟𝑒 𝑔𝑙𝑖 𝑖𝑛𝑣𝑖𝑡𝑎𝑡𝑖 𝑎 𝑛𝑜𝑧𝑧𝑒, 𝑚𝑒𝑛𝑡𝑟𝑒 𝑙𝑜 𝑠𝑝𝑜𝑠𝑜 𝑒̀ 𝑐𝑜𝑛 𝑙𝑜𝑟𝑜? 𝑉𝑒𝑟𝑟𝑎𝑛𝑛𝑜 𝑝𝑒𝑟𝑜̀ 𝑖 𝑔𝑖𝑜𝑟𝑛𝑖 𝑖𝑛 𝑐𝑢𝑖 𝑙𝑜 𝑠𝑝𝑜𝑠𝑜 𝑠𝑎𝑟𝑎̀ 𝑠𝑡𝑟𝑎𝑝𝑝𝑎𝑡𝑜 𝑑𝑎 𝑙𝑜𝑟𝑜; 𝑎𝑙𝑙𝑜𝑟𝑎, 𝑖𝑛 𝑞𝑢𝑒𝑖 𝑔𝑖𝑜𝑟𝑛𝑖, 𝑑𝑖𝑔𝑖𝑢𝑛𝑒𝑟𝑎𝑛𝑛𝑜». 𝐷𝑖𝑐𝑒𝑣𝑎 𝑙𝑜𝑟𝑜 𝑎𝑛𝑐ℎ𝑒 𝑢𝑛𝑎 𝑝𝑎𝑟𝑎𝑏𝑜𝑙𝑎: «𝑁𝑒𝑠𝑠𝑢𝑛𝑜 𝑠𝑡𝑟𝑎𝑝𝑝𝑎 𝑢𝑛 𝑝𝑒𝑧𝑧𝑜 𝑑𝑎 𝑢𝑛 𝑣𝑒𝑠𝑡𝑖𝑡𝑜 𝑛𝑢𝑜𝑣𝑜 𝑝𝑒𝑟 𝑎𝑡𝑡𝑎𝑐𝑐𝑎𝑟𝑙𝑜 𝑎 𝑢𝑛 𝑣𝑒𝑠𝑡𝑖𝑡𝑜 𝑣𝑒𝑐𝑐ℎ𝑖𝑜; 𝑎𝑙𝑡𝑟𝑖𝑚𝑒𝑛𝑡𝑖 𝑒𝑔𝑙𝑖 𝑠𝑡𝑟𝑎𝑝𝑝𝑎 𝑖𝑙 𝑛𝑢𝑜𝑣𝑜, 𝑒 𝑙𝑎 𝑡𝑜𝑝𝑝𝑎 𝑝𝑟𝑒𝑠𝑎 𝑑𝑎𝑙 𝑛𝑢𝑜𝑣𝑜 𝑛𝑜𝑛 𝑠𝑖 𝑎𝑑𝑎𝑡𝑡𝑎 𝑎𝑙 𝑣𝑒𝑐𝑐ℎ𝑖𝑜. 𝐸 𝑛𝑒𝑠𝑠𝑢𝑛𝑜 𝑚𝑒𝑡𝑡𝑒 𝑣𝑖𝑛𝑜 𝑛𝑢𝑜𝑣𝑜 𝑖𝑛 𝑜𝑡𝑟𝑖 𝑣𝑒𝑐𝑐ℎ𝑖; 𝑎𝑙𝑡𝑟𝑖𝑚𝑒𝑛𝑡𝑖 𝑖𝑙 𝑣𝑖𝑛𝑜 𝑛𝑢𝑜𝑣𝑜 𝑠𝑝𝑎𝑐𝑐𝑎 𝑔𝑙𝑖 𝑜𝑡𝑟𝑖, 𝑠𝑖 𝑣𝑒𝑟𝑠𝑎 𝑓𝑢𝑜𝑟𝑖 𝑒 𝑔𝑙𝑖 𝑜𝑡𝑟𝑖 𝑣𝑎𝑛𝑛𝑜 𝑝𝑒𝑟𝑑𝑢𝑡𝑖. 𝐼𝑙 𝑣𝑖𝑛𝑜 𝑛𝑢𝑜𝑣𝑜 𝑏𝑖𝑠𝑜𝑔𝑛𝑎 𝑚𝑒𝑡𝑡𝑒𝑟𝑙𝑜 𝑖𝑛 𝑜𝑡𝑟𝑖 𝑛𝑢𝑜𝑣𝑖. 𝑁𝑒𝑠𝑠𝑢𝑛𝑜 𝑝𝑜𝑖 𝑐ℎ𝑒 𝑏𝑒𝑣𝑒 𝑖𝑙 𝑣𝑖𝑛𝑜 𝑣𝑒𝑐𝑐ℎ𝑖𝑜 𝑑𝑒𝑠𝑖𝑑𝑒𝑟𝑎 𝑖𝑙 𝑛𝑢𝑜𝑣𝑜, 𝑝𝑒𝑟𝑐ℎ𝑒́ 𝑑𝑖𝑐𝑒: 𝐼𝑙 𝑣𝑒𝑐𝑐ℎ𝑖𝑜 𝑒̀ 𝑏𝑢𝑜𝑛𝑜!». Lc 5,33-39

Recentemente mi capita di riflettere sulle nostre messe e di condividere pensieri di altri/e che come me quando entrano in chiesa per la celebrazione fanno sempre più fatica a sentirsi “a casa”, “in famiglia”.

Con questi pensieri in testa, anche il vangelo di oggi, mi appare come una 𝙧𝙞𝙨𝙥𝙤𝙨𝙩𝙖 𝙘𝙝𝙚 𝙂𝙚𝙨𝙪̀ 𝙤𝙛𝙛𝙧𝙚 a questi miei (nostri) dubbi e disagi.

Se vogliamo essere davvero suoi discepoli, siamo autorizzati a mangiare e a bere, quando ci incontriamo celebrando la fraternità, la comunità, il nostro amore l’una/o per l’altra/o, ricordando l’esempio del Maestro, pregando e impegnandoci per imitarlo.

Invece noi siamo tristi, preoccupati per il castigo di Dio, diciamo orazioni e digiuniamo; ci comportiamo come i discepoli di Giovanni e come garberebbe ai puristi delle tradizioni.

𝗘𝗰𝗰𝗼𝗹𝗲 𝗹𝗲 𝗻𝗼𝘀𝘁𝗿𝗲 𝗹𝗶𝘁𝘂𝗿𝗴𝗶𝗲: 𝘃𝗲𝗴𝗹𝗶𝗲 𝗳𝘂𝗻𝗲𝗯𝗿𝗶 𝗮𝗻𝘇𝗶𝗰𝗵𝗲́ 𝗯𝗮𝗻𝗰𝗵𝗲𝘁𝘁𝗶 𝗱𝗶 𝗻𝗼𝘇𝘇𝗲.

L’invito che ci fa Gesù è chiaro: non si tratta di apportare piccoli aggiustamenti, non bastano impercettibili ritocchi qua e là. Non si tratta di più o meno messe, di come prendere la comunione, di quali canti fare ecc. Abbandoniamo il ruolo di rattoppatori e assumiamo quello di sarti e stilisti, perché il vestito non deve essere adattato ma ricucito da nuovo.

Il compito che Gesù ci assegna non è semplice perché coloro fra noi che hanno assaporato il vino nuovo e vorrebbero condividerlo con le sorelle e i fratelli, sono costretti a continuare a metterlo in otri vecchi, perdendolo anziché poterlo gustare. E si scontrano insesorabilmente con quanti non vogliono modificare lo stato delle cose pensando che il “vecchio” sia ancora valido e non danno spazio al “nuovo” per paura di lasciare le loro convinzioni, le loro abitudini. 𝙐𝙣𝙖 𝙥𝙖𝙪𝙧𝙖 𝙘𝙝𝙚, 𝙚̀ 𝙗𝙚𝙣𝙚 𝙘𝙝𝙞𝙖𝙧𝙞𝙧𝙡𝙤, 𝙫𝙖 𝙘𝙤𝙣𝙩𝙧𝙤 𝙡’𝙞𝙣𝙨𝙚𝙜𝙣𝙖𝙢𝙚𝙣𝙩𝙤 𝙙𝙞 𝙂𝙚𝙨𝙪̀ che ci ha lasciato questa definizione di Dio: “colui che fa nuove tutte le cose”. Se restiamo ancorate/i alle vecchie, non siamo nella stessa “lunghezza d’onda” del Dio di Gesù.

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