Il buon samaritano
Lo strano caso del buon samaritano – don Dino Pirri
Il vangelo per buoni, cattivi e buonisti.
Il libro mi è piaciuto già a partire dalla copertina, ma questo conta poco; dimostra solo la bravura dell’editor e del grafico; quello che vale è ovviamente il contenuto.
Fino a qualche giorno fa non sapevo chi fosse don Dino Pirri e di questo me ne rammarico perché il suo libro mi è piaciuto molto e sarei stato contento se avessi conosciuto tempo fa questo prete.
Ho sin da subito riscontrato due elementi che hanno, a mio avviso, giocato a favore del “nostro” primo incontro: la fluidità del testo e le cose che mi accumunavano con don Dino. La sua scrittura è liscia, scorrevole, chiara ed ha la caratteristica di ritornare spesso su alcuni argomenti, ma in maniera leggera e non ripetitiva, come se ogni volta richiamando un aspetto già trattato, ne aggiunga un piccolo, ulteriore, tassello. Siamo, poi, figli della stessa regione, le Marche; anche se lui fa parte delle cosiddette “marche sporche” (da leggere schporche, con la “sch” dolce) e io vivo quasi al confine con quelle “pulite”, ma mi sento più “schporco” che pulito; abbiamo entrambi lo scoutismo nel cuore (semel scout, semper scout), non siamo coetanei ma siamo della stessa generazione (lui riceveva il sacramento della cresima, io partivo per il militare) siamo cresciuti con i dischi dei grandi cantautori italiani i cui testi ancora riecheggiano nelle nostre menti.
Vorrei partire proprio dai versi delle canzoni che don Dino utilizza come intercalare e come rafforzativo in tutto il suo libro. Sono brani che tante volte anche io ho cantato, alle volte accompagnati con la chitarra proprio durante un campo o un’uscita scout. Forse questo particolare mi ha fatto sentire un po’ più mie le riflessioni che mi venivano offerte. Ho apprezzato molto questi suggerimenti “laici” che affiancano i brani evangelici, Vasco Rossi, Guccini, De André, Gaber e da ultimo, ci scommetto, anche il grande Iannacci, che non viene nominato, né troviamo traccia dei suoi brani, ma c’è un rimando indiretto quando, con la sua intelligente ironia, l’autore scrive della varietà di fedeli che partecipano alla messa e realizza un simpatico spaccato che, vi confesso, non ho letto, ma ho quasi cantato con in testa il ritmo del noto brano “Quelli che…” del cantautore milanese:
Ho bisogno anche della comunità di tutti gli altri, fossero anche i peggiori mascalzoni, per vivere la concretezza di quei gesti e di quelle parole che costituiscono il rito.
Quelli che stonano, quelli che danno le risposte fuori sincro,
quelli che arrivano in ritardo attraversando la navata centrale come se stessero sfilando per qualche noto stilista.
Quelli che hanno lasciato il telefono con la suoneria inserita e il telefono squilla, e tutti lo sentono tranne i diretti interessati. I bambini che corrono, strillano, ballano, saltano, equipaggiati di giocattoli ad alto grado di rumorosità. Quelli che si addormentano.
Quelli che non capiscono.
Quelli che si confondono.
Quelli che sono i peggio peccatori, che però fanno ipocritamente i santarellini, che stanno lì apposta: perché sono i peggio peccatori.
Quelli che si trovano lì per circostanze fortuite o saltuariamente, e si vede che non gliene importa nulla. Tutti questi rendono l’eucaristia vera. Tutti questi sono un popolo imperfetto, ma vero. Perché la realtà è fatta così e io non posso e non voglio fuggirla.
E comunque, di questo libro, “Lo strano caso del buon samaritano“, non voglio dirvi molto di più perché va letto e va calato nella propria vita perché può aiutarci a fare discernimento fra il tanto caos che abbiamo fuori e dentro di noi.
Posso svelarvi che si parte dalla parabola del buon samaritano (e fin qui non c’era bisogno del mio contributo) ma diversamente da quanto siamo abituati, quando ascoltiamo questo racconto di Gesù, don Dino non ci invita a metterci nei panni del levita, del sacerdote o del samaritano, ma ci spinge a calarci nel ruolo del malcapitato vittima dei banditi.
Ma il buon samaritano di don Dino si incontra con tanti altri personaggi del vangelo, e di volta in volta loro stessi diventano tanti “don Dino”, nel suo cammino di vita, prima e dopo la consacrazione sacerdotale. E queste riflessioni personali dell’autore, si riflettono in modo naturale all’interno del lettore che non può fare a meno di pensarsi Zaccheo, discepolo di Emmaus, vedova di Nain, per citarne alcuni, e di ripensare a come Dio agisce su di loro e conseguentemente su di noi che abbiamo gli occhi puntati su quelle righe.
Si parla di preghiera e del rapporto che don Dino ha con Dio; di come ci parla, ci discute, di quando lo interroga e di quando ci si arrabbia. Di quelle volte in cui lo ha ringraziato per essersi preso cura di lui e di quei momenti in cui invece lo sentiva lontano e poco presente. Una preghiera fatta anche di condivisione delle proprie emozioni. Anche questo aspetto ha toccato le corde del mio cuore. Magari non interesserà a nessuno di coloro che stanno leggendo queste righe, ma mi ha ricordato anche il mio modo di pregare e di mettermi davanti al tabernacolo, come quella volta (solo per citare una delle tante esperienze) in cui da adolescente, avevo trovato un calendario dove per ogni mese c’era una bellissima immagine di un tenerissimo e dolcissimo cucciolo di animale. Ed io, preso da tanta bellezza, ho staccato il calendario dal muro, me lo sono portato appresso, sono andato in cattedrale e l’ho sfogliato davanti al santissimo dicendo “ma… ti rendi conto di quante cose belle hai fatto? non ho parole per ringraziarti!“. Beh, erano altri tempi… ero giovane.
Per concludere, vi dico che sono convinto che il libro non vi deluderà, gradirete le brevi incursioni nella vita di don Dino, le sue riflessioni sui brani evangelici e le varie citazioni tra le quali non posso non citare, per concludere, quella che mi ha strappato un sorriso perché anche questa come tutte le altre giaceva in qualche angolo della mia mente e mi capitava saltuariamente di tirarla fuori con i miei figli. Sono le parole del grande attore Flavio Bucci che impersonando don Bastiano, il prete “ribelle”, nel film “Il marchese del grillo” dal patibolo dove sta per essere giustiziato grida rivolto alla piazza gremita:
Inginocchiatevi, tutti quanti! E segnatevi, avanti! E adesso pure io posso perdonare a chi mi ha fatto male. In primis, al papa, che si crede il padrone del Cielo. In secundis, a Napulione, che si crede il padrone della Terra. E per ultimo al boia, qua, che si crede il padrone della Morte. Ma soprattutto, posso perdonare a voi, figli miei, che non siete padroni di un cazzo! E adesso, boia, mandami pure all’altro mondo, da quel Dio Onnipotente, Lui sì padrone del Cielo e della Terra, al quale – al posto dell’altra guancia – io porgo tutta la capoccia!
Ah… dimenticavo… se, aprendo il libro, leggerete una parola che potrebbe suonare poco consona sulla penna di un prete non fateci caso… del resto lo sanno ormai tutti che don Dino è “un prete che non sembra un prete“.